sabato 11 agosto 2012
La Dea velata - "Giù i veli!" parte 2
Penso al sacro velo che separa il nostro mondo dagli altri.
Penso al velo che copre il volto delle Sacerdotesse della Dea.
Ce ne sono tanti di veli, di cui parlare, di cui bisogna parlare.
Prima parte: qui
Sito: http://www.giuiveli.com/articolo1.php
Certi intellettuali musulmani, difensori del velo, dicono: "Mia moglie, mia figlia non portano il velo", per precisare che la loro posizione non è assolutamente soggettiva. E la loro madre? Non portava il velo?
La madre con il velo. Il velo che ha l'odore della madre. La madre vietata. Il velo che la madre porta su di sé. Questo "gioco" che non lascia mai al suo bimbo, a suo figlio. Il velo ha l'odore del peccato, l'odore della madre vietata. La madre oggetto del desiderio, il desiderio colpevole, represso dalle leggi ancestrali. L'immagine della madre amata, desiderata, presso l'uomo musulmano, è simboleggiata dal velo. Come se questo velo che ha nascosto i capelli della madre sottraesse nello stesso tempo la madre a suo figlio. È per questo che le donne velate attirano maggiormente lo sguardo degli uomini musulmani. La forza viscerale del legame madre-figlio, questo legame di cui il velo materno è stato il tramite durante la prima infanzia e che proietta la sua ombra (l'ombra del proibito, dell'incesto e del desiderio) sulla donna agognata. Il velo che nasconde la donna è tanto detestato quanto desiderato dall'uomo musulmano. Il velo ricorda l'amore materno ma anche la prima ferita, il velo che sottrasse loro la madre.
La pressione dei divieti non rafforza la pulsione dello sguardo? Il velo ricorda uno dei divieti principali dell'islam, il corpo femminile. Ciò che si nasconde agli sguardi non fa che attizzare gli sguardi. Il velo fissa l'attenzione e le energie psichiche degli uomini su uno spettacolo che per la logica delle cose deve rivelarsi del più grande interesse. Impossibile ignorare gli sguardi insistenti, importuni, degli uomini nei Paesi musulmani. Lo sguardo lascivo, lo sguardo illecito, lo sguardo in agguato, lo sguardo che penetra il velo. E le ragazze rimproverate, perché, malgrado il loro velo, il loro corpo coperto, hanno attirato gli sguardi illeciti.
Il timore dello sguardo e dei pericoli che nasconde è inculcato dalle madri alle figlie. Dalla loro più tenera età, le ragazzine interiorizzano l'idea che la loro esistenza è una minaccia per il ragazzo e per l'uomo; che, alla vista di un pezzo della loro pelle o della loro chioma, questi ultimi possono perdere ogni controllo di sé. Le madri, negli ambienti più tradizionali, continuano a riprodurre gli stessi dogmi trasmessi di generazione in generazione. Timorose, hanno paura di rompere il giogo religioso, di spezzare l'anello identificatorio, e non osano affrontare il giudizio delle altre madri della loro comunità.
Nei Paesi musulmani, malgrado il velo delle donne, lo stupro e la prostituzione fanno danni. La pedofilia è molto diffusa perché, se la relazione sessuale, non coniugale, tra due adulti consenzienti è proibita e severamente punita dalle leggi islamiche, nessuna legge protegge i bambini. Ci sono abbastanza bambini abbandonati a se stessi, in questi Paesi, per fare le spese degli impellenti bisogni sessuali degli uomini.
Della vergogna di abitare un corpo vergognoso, un corpo velato, dell'angoscia di abitare un corpo colpevole, colpevole di esistere, di questa colpa, di questa onta congenita, chi ha il diritto di parlare? Forse quelle che hanno vissuto fin da prima della loro adolescenza gli effetti traumatici dei dogmi islamici. Ma, giustamente, quelle che sentono pesare su di sé gli sguardi degli uomini della propria famiglia, degli altri uomini e di quelli che, dall'esterno, le considerano come strani zombi, non hanno né il diritto né la forza di parlare. Esse hanno vissuto l'umiliazione di non essere uomini, di portare il velo, questa prigione ambulante, come una stigmate, come la stella gialla della condizione femminile. I corpi femminili, umiliati, colpevoli, fonte di inquietudini, angosciosi, minacciosi, sporchi, impuri, fonte di malessere e di peccato, questi oggetti malsani, bramati, desiderati e proibiti, nascosti ed esposti, rinchiusi, violentati, circolano intorno agli uomini, come ombre. Il corpo femminile è un oggetto sessuale che si nasconde, che si denigra, un po' come un accessorio sessuale che si avrebbe vergogna a utilizzare.
Fin dall'infanzia, come le vittime di uno stupro, queste ragazze velate si sentono colpevoli, e la violenza che hanno subito assomiglia, in effetti, a uno stupro, essa è uno stupro. Stupro ancestrale di cui le madri musulmane portano il marchio, che imprimono a loro volta sul corpo della loro figlia. Stupro ancestrale di cui le madri portano una pesante parte di reponsabilità. I dogmi islamici distillati dalle madri musulmane, interiorizzati dai bambini, acquisiscono un carattere intrinseco, come se venissero dal di dentro e non dal di fuori.
Qualche nota, qui, per prevenire obiezioni e contro-esempi.
Una religione esiste storicamente, è quello che se ne fa, ma è anche quello che essa ha fatto. Ed essa è ciò che è stata nelle società attraverso i secoli. Non la si può ridurre alle idee che elabora al suo riguardo qualche bello spirito o qualche buona coscienza. E poi per comprendere veramente una religione e il meccanismo della sua trasmissione psichica e sociale da una generazione all'altra, bisogna viverla soggettivamente ed essere positivamente o negativamente implicati. Le osservazioni esteriori, per quanto pertinenti esse siano, non riescono mai a penetrare in ciò che sentono i credenti. Bisogna aver vissuto all'interno di una fede, ricevuto una educazione religiosa per comprendere che cos'è credere o non più credere all'islam, al cattolicesimo o al giudaismo.
Io ho vissuto il totalitarismo islamico e le barbarie religiose in tutti i loro aspetti. Quando sono arrivata in Francia, avevo l'impressione di non essere sullo stesso pianeta. Avevo l'impressione di essere come qualcuno che sbarcasse in questo mondo dopo aver subito le torture dell'Inquisizione cristiana nel Medioevo. Io non provo alcuna indulgenza per la religione. Per quel che concerne la fede, grazie a Dio, io non sono atea. Semplicemente, ho coscienza di esistere, ho coscienza anche dell'ingiustizia che regna su questa terra, coscienza di quello che è l'inferno sulla terra. Se Dio esiste, è un suo problema.
Il Corano, lui, non ha alcun dubbio sui confini del male e del bene. Quello che non è contenuto nel Corano è il male assoluto. Tutto, il Tutto, è nel Corano. Il Corano ha pensato a tutto, all'essere umano nella sua interezza, agli esseri umani di ogni condizione. In materia di umanità, nulla sfugge al Corano; dubitarne è in sé un peccato, un sacrilegio. La legittimità delle tre religioni monoteiste deriva dal fatto che questa legittimità è divina, dunque assoluta e fuori da ogni discussione. E poiché Dio, Allah e Yahvé si fanno lontani, i credenti devono ubbidire ai loro rappresentanti sulla terra.
La svalutazione giuridica e sociale della donna nell'islam, la sua collocazione sotto la tutela maschile procede di pari passo con il suo statuto di oggetto sessuale e quest'ultimo ha la sua origine nel Corano. Nei Paesi musulmani, la donna secondo le leggi islamiche ha bisogno per lasciare il Paese dell'autorizzazione di colui sotto la cui tutela è posta, cioè di suo marito o, in sua mancanza, di suo padre, suo fratello, suo zio. La shari'a va più lontano: una donna non ha il diritto di uscire dal domicilio coniugale senza l'autorizzazione di suo marito o di chi la tutela. La donna non è mai considerata come una persona completa. In Iran, dal 1998, le donne non hanno più il diritto di andare da una città all'altra da sole. E parlo proprio di donne, non di adolescenti minorenni.
Il Corano dedica numerose pagine al basso ventre degli uomini, al loro piacere sessuale, al dovere delle donne di appagare il desiderio del loro marito. Il Corano affronta anche il piacere paradisiaco degli uomini. Ai buoni musulmani, e ai martiri dell'islam, il Corano riserva delle Uri eternamente belle, eternamente giovani, eternamente vergini, che ridivengono vergini dopo ogni coito. Per gli uomini, è la realizzazione di una fantasia, l'orgasmo infinito, instancabile, e la fine di un'ossessione, l'eiaculazione precoce. Immagino che gli uomini saranno dei supermaschi, con un pene d'acciaio, infaticabile. Nient'altro che piacere, godimento, felicità. Io mi domando se non è grazie a queste sacre promesse che i religiosi credono alla sacralità del Corano. Quale uomo non sogna ciò? Basta crederci.
Il Corano certamente dice che "il paradiso è sotto i piedi delle madri" ma non evoca per queste alcun piacere paragonabile a quelli che riserva agli uomini. Visto che il paradiso è aperto solo alle madri e non alle sfortunate donne sterili, visto che non si può fornicare con la madre di nessun uomo (un'espressione volgare che riguardi una madre nei Paesi musulmani può finire in un bagno di sangue), forse le madri, in paradiso, guardano gli uomini fornicare con le Uri...
Non fatico a immaginare l'indignazione di alcune donne velate "nuovo stile", quelle che parlano chiaro e forte della loro libertà e della loro identità, ma non scherzano con il Corano. Se ne vede qualcuna per strada, nel métro. Esse si fanno notare. Ostentano la loro scelta, pronte, lo si sente, a rispondere vivacemente alle domande che nessuno gli pone ma che il loro sguardo, il loro portamento, la loro provocatoria sicurezza evidentemente sollecitano. Probabilmente un giorno quelli che le ispirano ci proporranno una nuova lettura del Corano (i monoteismi non finiscono mai di rileggersi) per persuaderci, vecchia ricetta, che bisogna saperlo interpretare e all'occorrenza decifrarvi ciò che non vi è scritto. Ma con l'islam non ci siamo ancora arrivati. Ci si ferma ai segni esteriori di ricchezza identitaria e alle letture fondamentaliste. Il velo è la mia cultura. Il velo è la mia libertà. Vecchio ritornello che risale agli anni della decolonizzazione: la libertà è una cosa, dicevano allora alcuni, ma la libertà culturale è altro. Si distingueva, prima di arrivare a opporli, tra i diritti dell'uomo (individuale) e il diritto delle culture (collettive). La giustificazione intellettuale di tutte le non-democrazie post-coloniali era così trovata. Ed è nel momento in cui qualche volta si finge di preoccuparsi di questo su scala planetaria (ben inteso quando gli interessi economici o strategici dei Paesi occidentali sono in questione) che si sente senza batter ciglio canticchiare questo ritornello nelle nostre periferie.
Che delle giovani donne adulte portino il velo, questo riguarda loro. Ma c'è nell'atteggiamento di molte di loro una doppia perversità. Il portare il velo in Francia non è il modo per nascondersi tra la folla anonima, piuttosto il mezzo per attirare lo sguardo, per farsi notare, una forma di esibizionismo, di provocazione; donne oggetto e fiere di esserlo; donne oggetto sessuale, più esattamente. Questa perversità, ancora una volta, è una faccenda loro. Ma non è più assolutamente una loro faccenda, vi prego di prestare attenzione, quando si accompagna a un messaggio di proselitismo destinato alle più giovani, a un messaggio esso stesso velato perché dissimula la sua vera natura sotto il velo delle parole "libertà", "identità" o "cultura". Imporre il velo a una minorenne è, in senso stretto, abusare di lei, disporre del suo corpo, definirlo come oggetto sessuale destinato agli uomini. La legge francese, che non proibisce nulla ai maggiorenni consenzienti, protegge i minorenni da ogni abuso di questo genere. Tutte le forme di pressione diretta o indiretta che mirano a imporre il velo a delle minorenni conferiscono loro con ciò stesso uno statuto di oggetto sessuale, assimilabile a quello della prostituzione. Esse devono essere vietate dalla legge. Le mutilazioni psicologiche e morali sono mutilazioni sessuali; esattamente come le mutilazioni sessuali sono parimenti mutilazioni psicologiche e morali. Ci sono stati etnologi, fortunatamente in minoranza, che hanno difeso le escissioni in nome della differenza culturale. Peccato contro lo spirito e peccato contro la società, sicuramente. Non commettiamo lo stesso errore, lo stesso sbaglio, a proposito del velo islamico. Non è in nome della laicità che bisogna vietare il velo alle minorenni, a scuola o altrove, ma in nome dei diritti dell'uomo e in nome della protezione dei minori.
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