lunedì 11 giugno 2012

11 giugno: Matralia


Mater Matuta era per i romani la dea dell'alba e del mattino, ma non solo: era preposta alla maturazione, al portare a compimento e alla forma finita, di uomini, eventi e messi.

Questa festa ha origine quando Marco Furio Camillo, dovendo assediare la città etrusca di Veio, fece voto alla Mater Matuta di restaurare il suo tempio e di svolgere grandi feste in suo onore.
Il tempio era situato nel Foro Boario, consacrato da Romolo (dunque uno dei più antichi culti accertati nella Roma arcaica) nell'attuale area di Sant'Omobono.

Al suo culto potevano accedere solo le donne sposate una sola volta (univirae). Durante la cerimonia dei Matralia le donne arrivavano al tempio con i figli, ma non portavano in braccio loro bensì i figli delle sorelle; poi una schiava prescelta veniva scacciata in malo modo dall'edificio; a quel punto tutte le zie materne dovevano abbracciare i nipoti.

Come rituale appare abbastanza strano se non conosciamo il ruolo fondamentale che la zia materna (matertera) aveva nella famiglia romana. La matertera fungeva infatti da "seconda madre", prendendo il posto della sorella quando questa veniva a mancare, come educatrice e garante dell'affetto dovuto ai figli dalla gens. La controparte negativa della matertera era la balia, la nutrice, quasi sempre una schiava, che nel rito rappresentava le paure della famiglia per il figlio, che poteva non essere cresciuto in maniera adatta in quanto affidato alle cure di un'estranea. Un po' come le attuali leggende metropolitane che spingono a non affidarsi troppo alle babysitter...

In questi rituali ci sono interessanti riferimenti alla greca Ino, sorella di Semele e quindi zia di Dionisio, sempre secondo Plutarco: le donne durante la processione verso il tempio portavano in braccio i figli dei fratelli e delle sorelle, come Ino che aveva deciso di allevare il figlio della sorella morta per la gelosia di Era. Trovatasi anche lei di fronte all'ira della dea, si era gettata in mare col piccolo ed era stata condotta sulle coste del Lazio, dove era stata ospitata da Carmenta che le aveva offerto una focaccia (liba tosta) come quelle che le donne portavano al tempio.

Bibliografia:
Cicerone, De natura Deorum, III,48
Tito Livio, Ab Urbe condita libri, V,14.
Plutarco, Quaestiones Romanae, 16.

Licia Ferro e Maria Monteleone, Miti Romani, Torino, Einaudi, 2010, p. 68 e 366

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